Venezia – “Venezia storicamente deve le sue fortune al porto. Limitarne lo sviluppo e il funzionamento vuol dire atrofizzare la città e la sua economia”.
Alessandro Becce, Presidente della Venice port community, che rappresenta 46 fra aziende e associazioni tra cui Confindustria, Cna, Confcommercio, Confartigianato e Confesercenti e che è amministratore delegato di F2i Holding Portuale, la società controllata dal fondo F2i presente nei porti di Marina di Carrara, Venezia, Chioggia, Livorno e Monfalcone – risponde così nell’intervista rilasciata a Raoul de Forcade sul Sole-24 Ore del 9 agosto – alla raccomandazione dell’Unesco d’inserire Venezia nella lista del patrimonio mondiale in pericolo.
Per Becce “la ricetta non risiede nell’immobilismo, ma in una gestione razionale delle risorse, nel pieno rispetto dell’ambiente e della sostenibilità della laguna. L’Unesco, le istituzioni e le sigle ambientaliste non sono nemici ma interlocutori con cui dialogare, lasciando, però, da parte gli slogan”.
“La storia e il futuro di Venezia – per Becce – passano per il porto. La laguna è frutto degli interventi dell’uomo e la manutenzione dei canali da sempre è stata una prassi consolidata e ordinaria. Nonostante lo scetticismo iniziale, il Mose sta mostrando la sua efficacia nel coniugare l’operatività del porto con la protezione della città dalle maree anomale, mitigando gli effetti dell’innalzamento prospettico del livello del mare Adriatico. Dobbiamo però avere il coraggio di progettare sin d’ora il porto del futuro, guardando anche a soluzioni al di fuori della laguna, integrate con il porto attuale”.
Insomma – puntualizza Raoul de Forcade – secondo Becce occorre puntare, per il futuro di Venezia, non solo sulla salvaguardia della laguna ma anche sullo sviluppo industriale e commerciale della città, garantito proprio dal suo storico scalo.
Con Alessandro Becce che fa presente come “nei prossimi anni sono previsti oltre 3,5 miliardi di euro di investimenti. Di cui 1,5 da fondi pubblici, a cui si aggiungono oltre 2 miliardi privati, 1,6 da parte di gruppi industriali e 500 milioni stanziati dalle imprese dei terminalisti portuali. I privati, dunque, sono pronti a fare la propria parte”.
E questo mentre da Seareporter apprendiamo che “il porto di Venezia, naturalmente vocato all’export, risente nel primo semestre 2023 di fattori economici e finanziari esogeni, tra cui la stagnazione della produzione industriale e manifatturiera e la contrazione dei prestiti alle imprese e vede frenare i propri traffici che segnano un -4,7% nel periodo gennaio/giugno di quest’anno rispetto agli stessi sei mesi del 2022, attestandosi su un volume di 12.342.769 tonnellate”.
Mentre “significativa è, invece, la crescita dei traffici ferroviari (al centro anche dei criteri per l’aggiudicazione delle nuove concessioni) che crescono nel primo semestre dell’anno del +4,1% in termini di numero di treni (2.423) e del +6% in termini di tonnellate movimentate (1.128.855 ton)”.
Il dato è tanto più interessante – annota Seareporter – se si considera che il primo trimestre 2023 ha continuato a risentire delle problematiche legate alla crisi ucraina e all’aumento dei costi energetici. Se si analizza, infatti, il solo secondo trimestre 2023 la crescita del ferroviario si misura con un +14,8% di treni e un +20,8% di merce, a conferma anche del fatto che i treni sono sempre più lunghi e capienti. Si ricorda infine ERF (Esercizio Raccordi Ferroviari) – la società di manovra ferroviaria che opera a Porto Marghera e che è una società per azioni mista pubblico-privato con il controllo pubblico esercitato dall’Autorità di Sistema) – ha conseguito, prima impresa italiana a farlo, il certificato di sicurezza europeo ERA che le consente di operare su rete RFI nei prossimi 5 anni.