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Blockchain e Green Economy non sono compatibili: viaggio in una tecnologia decisamente poco green

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LA SPEZIA – Quando spediamo un’ email non ci rendiamo conto di che cosa significhi in termini di consumo energetico e di ricadute come l’emissione di Co2. Ma comincia a crescere  il richiamo alla consapevolezza sul consumo di energia e sul costo non solo economico ma anche ambientale per produrla.  Crediamo dunque giusto e opportuno contribuire a costruire questa consapevolezza iniziando con un primo articolo su  Blockchain e Green Economy che non sono compatibili.

di Giacomo Galletto

La blockchain è uno dei temi più attuali in termini di tecnologia in quei contesti dove la consistenza dei dati condivisi da un ampio numero di entità diventa fondamentale. In breve, la blockchain è un registro distribuito di transazioni. Non a caso, al di là dell’alone di mistero che circonda il suo inventore, questa tecnologia è nata in ambito finanziario per introdurre le criptovalute. II fatto che le informazioni vengano mantenute su un registro distribuito fa cadere la necessità da parte dei suoi utenti di dare fiducia a un unico organismo centrale come alla propria banca, che si occupa di registrare le transazioni relative al nostro conto corrente, o al circuito della propria carta di credito

Nella blockchain le informazioni sulle transazioni sono dunque pubbliche e tuttavia protette da crittografia, attraverso la quale l’autore o il destinatario di una transazione possono provare di esserne i titolari senza però rivelare la propria identità.

Le transazioni sono registrate nei blocchi della blockchain e per aggiungere nuovi blocchi i nodi della blockchain competono fra loro. Il modo in cui avviene la competizione per aggiudicarsi il diritto di creare nuovi blocchi è il nodo cruciale della questione green. Nell’applicazione originale e più nota della blockchain, quella dei Bitcoin, per aggiudicarsi tale diritto i nodi devono risolvere un rompicapo appartenente a una classe di problemi la cui risoluzione non dipende dall’intelligenza di chi si impegna a risolverli, bensì soltanto dalle sue capacità di eseguire calcoli velocemente. Questo protocollo viene definito proof-of-work ed è il più esoso in termini di energia. Risolvere rompicapi appartenenti a quella classe di problemi, infatti, richiede grandi risorse di calcolo (processori, memoria, spazio di storage) che, oltre ad avere un costo elevato, consumano molta energia: il fatto che vinca il nodo più veloce a risolvere il rompicapo incentiva ogni singolo nodo a dotarsi di risorse di calcolo sempre più potenti per arrivare più velocemente degli altri nodi alla soluzione.

Nel caso dei Bitcoin, un ulteriore incentivo a potenziare le risorse di calcolo da parte dei nodi è che la blockchain prevede un premio di 6 bitcoin per il nodo che vince la sfida, il cui valore attuale equivale a circa 250.000 dollari.

Questa attività di risoluzione dei rompicapi è detta “mining”. Se si considera che in una blockchain possono esserci diverse centinaia di migliaia di nodi “miner”, appare subito evidente come il protocollo proof-of-work sia tutt’altro che green. Si stima che la blockchain di Bitcoin determini un consumo di energia elettrica pari a quello di nazioni come l’Austria nonostante il numero di transazioni si assesti intorno alle 250.000 al giorno, quindi molto inferiori, per esempio, al numero di transazioni dei circuiti di carte di credito, i quali superano facilmente 100 milioni di transazioni al giorno.

Per fortuna si stanno affacciando altri protocolli che richiedono meno energia per il mining. Va però sottolineato come questi protocolli non siano sostitutivi rispetto al proof-of-work: adottarli significa sacrificare una fetta di “democraticità” della blockchain sull’altare del risparmio energetico. Per esempio, il protocollo proof-of-authority prevede che soltanto un numero limitato di nodi della blockchain abbiano l’autorità per creare nuovi blocchi. Ciò che rende necessario che gli utenti di una blockchain che adotta questo protocollo debbano fidarsi di tali nodi. Per questo motivo, tale protocollo non è applicabile nella blockchain di una criptovaluta in cui l’identità degli utenti non è nota, ma potrebbe avere ottime applicazioni in ambito di logistica, trasporti e spedizioni per gestire una supply chain ampia e complessa.

Un altro protocollo è il proof-of-stake, in cui i miner vengono sostituiti dai nodi “validatori”, che ricevono un incentivo economico per la risoluzione del rompicapo, ma sono costretti a depositarne una parte in via cauzionale. Blockchain che sfruttano combinazioni ibride di proof-of-work e proof-of-stake per mantenere la sicurezza del primo ma limitandone l’uso potrebbero rappresentare un compromesso in termini di risparmio energetico.

Tuttavia, a prescindere dal protocollo utilizzato, una blockchain di criptovalute rappresenterà comunque una tecnologia decisamente poco green.

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