Concessioni agli stabilimenti: “Mondo Balneare” considera “devastante” la pronuncia del Consiglio di Stato che “non lascia nemmeno uno spiraglio di possibilità”

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Roma – “Spiagge a gara entro il 2023”, il Consiglio di Stato demolisce validità concessioni balneari: la sentenza La pronuncia dei giudici non lascia nemmeno uno spiraglio: l’estensione al 2033 è illegittima e lo Stato deve riassegnare i titoli entro due anni tramite evidenza pubblica. Confutate tutte le tesi a favore degli attuali gestori”.

Così Alex Giuzio  su “Mondo Balneare” riassume quella che è considerata “una sentenza devastante, che non lascia nemmeno uno spiraglio di possibilità: le concessioni balneari devono essere riassegnate entro massimo due anni tramite gare pubbliche, poiché l’estensione al 2033 è contraria al diritto europeo in quanto proroga automatica e generalizzata. Secondo il Consiglio di Stato i titoli in essere non sarebbero più validi già oggi, ma «al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea», è ancora accettabile mantenere l’efficacia delle attuali concessioni fino al 31 dicembre 2023.

Dal giorno successivo tuttavia – precisano i giudici – tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia o meno un soggetto subentrante nella concessione.

Il massimo organo di giustizia amministrativa ha insomma demolito tutte le tesi portate avanti dai balneari per chiedere l’esclusione dalle gare pubbliche, dalla non scarsità di risorsa alla mancanza di interesse transfrontaliero, dal legittimo affidamento alla non-autoesecutività della direttiva europea Bolkestein – il cui recepimento avvenuto in Italia nel 2010 ha dato inizio a tutta questa storia.

E nella conclusione della pronuncia, il Consiglio di Stato è arrivato anche a imporre i principi con cui regolamentare le future procedure di evidenza pubblica, invitando a non istituire paletti per favorire gli attuali concessionari (ma ammettendo la professionalità nel settore come un elemento da considerare in fase di valutazione). La sentenza del Consiglio di Stato (numero 18 del 9 novembre 2021, presidente Patroni Griffi, estensore Giovagnoli) è esito dell’adunanza plenaria tenutasi lo scorso 20 ottobre in seguito al caos generatosi dopo l’estensione delle concessioni balneari fino al 2033, decisa dalla legge 145/2018.

L’allora ministro del turismo Gian Marco Centinaio, promotore della norma, aveva giustificato il provvedimento come un “periodo transitorio” necessario ad attuare il riordino generale del settore, che però a distanza di tre anni non è mai stato completato. Nel frattempo sono arrivate una lettera di messa in mora dall’Unione europea e svariate pronunce dei Tar spesso in contrasto fra loro, tra chi ha confermato la validità del 2033 e chi invece l’ha disapplicata. Per definire un orientamento unitario della giustizia amministrativa, il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi aveva convocato un’adunanza plenaria: lo scopo era stabilire se le singole amministrazioni locali abbiano il diritto di disapplicare l’estensione al 2033 oppure se questo potere spetti solo ai giudici, e soprattutto se è vero – come ha sostenuto il Tar di Lecce in una serie di sentenze fuori dal coro – che la scadenza al 2033 è valida poiché la direttiva europea Bolkestein non è auto-esecutiva, e pertanto al momento non ci sarebbe nessun’altra legge da applicare al posto della 145/2018.

Il Consiglio di Stato si è espresso contro entrambe le tesi, senza rinviare la questione alla Corte di giustizia europea (come pareva fosse intenzionato a fare in base ad alcune indiscrezioni emerse a margine della plenaria) e spezzando le speranze degli attuali titolari di stabilimenti balneari; ma la sua sentenza è andata molto oltre e presenta anche alcuni aspetti contraddittori. L’elemento più insolito è che i giudici si siano sostituiti al legislatore fissando un termine preciso entro cui istituire le gare, quello del 31 dicembre 2023. Ma soprattutto, appare bizzarro che il Consiglio di Stato dichiari illegittima l’estensione al 2033 in quanto automatica e generalizzata, per poi stabilire un’altra sorta di proroga altrettanto automatica e generalizzata.

In ogni caso, questa è la pronuncia con cui il governo dovrà fare i conti per mettere mano alla riforma del settore entro tempi brevi; e più che del Consiglio di Stato, la colpa per essere arrivati a questa situazione è di tutta la politica italiana, che in tanti anni ha fatto solo chiacchiere e non è stata in grado di approvare una riforma seria e adeguata.

Come abbiamo avuto modo di scrivere tante volte in queste pagine – osserva acutamente Alex Giuzio – era noto il rischio che più si andava avanti a non decidere, più sarebbero potute arrivare sentenze a impedire soluzioni giuridiche in precedenza possibili: e quella del Consiglio di Stato pare proprio la pronuncia definitiva e distruttiva che la politica ha provocato a causa della sua inettitudine e irresponsabilità. Non è ancora chiaro ora come lo Stato si dovrà comportare nei confronti delle migliaia di concessionari che hanno già avuto il proprio titolo protocollato ufficialmente fino al 2033 e hanno effettuato investimenti di conseguenza, ma questa sarà una materia di cui senz’altro si dibatterà a lungo nei prossimi mesi, e che molto probabilmente si risolverà con cospicui indennizzi a favore dei concessionari uscenti, come d’altronde ammette anche la stessa pronuncia di Palazzo Spada.

Nel frattempo andiamo ad analizzare nel dettaglio tutti gli aspetti della sentenza, di cui riportiamo qui di seguito i passaggi più significativi (il testo integrale può essere consultato sul sito del Consiglio di Stato, mentre in quest’altro articolo è possibile leggere tutti i commenti dei rappresentanti delle associazioni di categoria e degli esponenti politici in merito). Interesse transfrontaliero e non scarsità della risorsa non sono ragioni valide per escludere le concessioni balneari dalle gare Dopo avere dichiarato inammissibili tutti gli interventi ad opponendum delle associazioni di categoria costituitesi in giudizio, il Consiglio di Stato ricorda che la Corte di giustizia europea con la sentenza “Promoimpresa” del 14 luglio 2016 ha già stabilito l’illegittimità delle proroghe automatiche sulle concessioni balneari, poiché contrarie alla direttiva Bolkestein e al Trattato fondativo dell’Unione europea che prevedono la riassegnazione periodica dei beni pubblici come le spiagge attraverso procedure comparative aperte e trasparenti. L’inizio della sentenza demolisce due delle tesi principali portate avanti finora dagli imprenditori balneari, ovvero la non sussistenza dell’interesse transfrontaliero certo e della scarsità della risorsa, che secondo i balneari in base al diritto europeo giustificherebbero l’esclusione delle spiagge dalle gare. In merito all’interesse transfrontaliero (punti 11-18), argomenta la pronuncia di Palazzo Spada, «per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 49 TFUE la Corte di giustizia, sin dalla nota sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Telaustria e Telefonadress, ha chiarito che qualsiasi atto dello Stato che stabilisce le condizioni alle quali è subordinata la prestazione di un’attività economica sia tenuto a rispettare i principi fondamentali del trattato e, in particolare, i principi di non discriminazione in base alla nazionalità e di parità di trattamento, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva. […] Nell’ottica della Corte detto obbligo di trasparenza impone all’autorità concedente di assicurare, a favore di ogni potenziale offerente, un “adeguato livello di pubblicità” che consenta l’apertura del relativo mercato alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle relative procedure di aggiudicazione. […] Si può, peraltro, ritenere che le ragioni di fondo alla base di tale giurisprudenza giustifichino – come, del resto, chiaramente confermato dalla sentenza Promoimpresa del 2016 – la loro applicazione ad ogni fattispecie (anche non avente carattere puramente negoziale per il diritto interno) che dia luogo a prestazione di attività economiche o che comunque costituisca condizione per l’esercizio di dette attività. Più precisamente, secondo questa giurisprudenza, quando sia accertato che un contratto (di concessione o di appalto), pur se si colloca al di fuori del campo di applicazione delle direttive, presenta un interesse transfrontaliero certo, l’affidamento, in mancanza di qualsiasi trasparenza, di tale contratto ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate a tale appalto. L’interesse transfrontaliero certo consiste nella capacità di una commessa pubblica o, più in generale, di un’opportunità di guadagno offerta dall’Amministrazione anche attraverso il rilascio di provvedimenti che non portano alla conclusione di un contratto di appalto o di concessione, di attrarre gli operatori economici di altri Stati membri». Ancora, «nel caso delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative […], al contrario degli appalti o delle concessioni di sevizi, la p.a. mette a disposizione dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, valutati unitariamente e complessivamente, costituiscono uno dei patrimoni naturalistici (in termini di coste, laghi e fiumi e connesse aree marittime, lacuali o fluviali) più rinomati e attrattivi del mondo. Basti pensare che il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai quindici miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i cento milioni di euro, il che rende evidente il potenziale maggior introito per le casse pubbliche a seguito di una gestione maggiormente efficiente delle medesime. L’attrattiva economica è aumentata dall’ampia possibilità di ricorrere alla sub-concessione. […] È allora evidente che, a causa del ridotto canone versato all’Amministrazione concedente, il concessionario ha già la possibilità di ricavare, tramite una semplice sub-concessione, un prezzo più elevato rispetto al canone concessorio, che riflette il reale valore economico e l’effettiva valenza turistica del bene. Già queste considerazioni traducono in termini economici un dato di oggettiva e comune evidenza, legata alla eccezionale capacità attrattiva che da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale, il quale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica è certamente oggetto di interesse transfrontaliero, esercitando una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri. Pensare che questo settore, così nevralgico per l’economia del Paese, possa essere tenuto al riparo dalle regole delle concorrenza e dell’evidenza pubblica, sottraendo al mercato e alla libera competizione economica risorse naturali in grado di occasionare profitti ragguardevoli in capo ai singoli operatori economici, rappresenta una posizione insostenibile, non solo sul piano costituzionale nazionale (dove pure è chiara la violazione dei principi di libera iniziativa economica e di ragionevolezza derivanti da una proroga generalizzata e automatica delle concessioni demaniali), ma, soprattutto e ancor prima, per quello che più ci interessa ai fini del presente giudizio, rispetto ai principi europei a tutela della concorrenza e della libera circolazione». Più brevemente, in merito alla scarsità di risorsa (punto 25) il Consiglio di Stato afferma invece che «il concetto di scarsità va, invero, interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della “quantità” del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato. […] La valutazione della scarsità della risorsa naturale, invero, dipende essenzialmente dall’esistenza di aree disponibili sufficienti a permettere lo svolgimento della prestazione di servizi anche ad operatori economici diversi da quelli attualmente “protetti” dalla proroga ex lege. Da questo punto di vista, i dati forniti dal sistema informativo del demanio marittimo (SID) del Ministero delle Infrastrutture rivelano che in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania) arrivano quasi al 70%. Una percentuale di occupazione, quindi, molto elevata, specie se si considera che i tratti di litorale soggetti ad erosione sono in costante aumento e che una parte significativa della costa “libera” risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, perché inquinata o comunque “abbandonata”. A ciò si aggiunge che in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che nella maggior parte dei casi coincide con la percentuale già assentita. È evidente, allora, che l’insieme di questi dati già evidenzia che attualmente le aree demaniali marittime (ma analoghe considerazioni valgono per quelle lacuali o fluviali) a disposizione di nuovi operatori economici sono caratterizzate da una notevole scarsità, ancor più pronunciata se si considera l’ambito territoriale del comune concedente o comunque se si prendono a riferimento porzioni di costa ridotte rispetto alla complessiva estensione delle coste italiane. […] Pertanto, nel settore delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse, in alcuni casi addirittura inesistenti, perché è stato già raggiunto il – o si è molto vicini al – tetto massimo di aree suscettibile di essere date in concessione. Anche da questo punto di vista, quindi, sussistono i presupposti per applicare l’art. 12 della direttiva 2006/123». Le concessioni balneari sono servizi e la natura non-autoesecutiva della Bolkestein non sussiste In seguito a un altro articolato ragionamento (punti 21-24), il Consiglio di Stato smonta un’altra storica tesi dei balneari, quella secondo la quale le concessioni demaniali marittime sarebbero beni e non servizi, e pertanto non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della Bolkestein (dedicata appunto alla liberalizzazione dei servizi). Al termine delle lunghe argomentazioni, l’adunanza plenaria arriva a ribadire perentoriamente che «le concessioni di beni demaniali per finalità turistico-ricreative rappresentano autorizzazioni di servizi ai sensi dell’art. 12 della direttiva c.d. servizi, come tali sottoposte all’obbligo di gara». Inoltre, per quanto riguarda la natura non-autoesecutiva della direttiva Bolkestein che giustificherebbe la validità della 145/2018, sostenuta dalle note sentenze firmate dal presidente del Tar Lecce Antonio Pasca, il Consiglio di Stato (punti 26 e 33-36) ritiene che «il carattere self-executing della direttiva 2006/123 non sussiste, perché tale carattere è stato espressamente riconosciuto dalla Corte di giustizia nella sentenza Promoimpresa (C-174/06), oltre che da una copiosa giurisprudenza nazionale che ad essa ha fatto seguito». Peraltro, prosegue la sentenza confutando le tesi di Pasca, «o si ammette che la legge non è disapplicabile nemmeno dal giudice (ma in questo modo il contrasto con il principio di primazia del diritto dell’Unione diventa stridente) oppure si ammette che l’Amministrazione è “costretta” ad adottare un atto illegittimo, destinato poi ad essere annullato dal giudice, che può fare ciò che la P.A. non ha potuto fare, cioè non applicare la legge nazionale anticomunitaria. Ma immaginare un’Amministrazione “costretta” ad adottare atti comunitariamente illegittimi e a farlo in nome di una esigenza di certezza del diritto (legata all’asserita difficoltà di individuare le direttive self-executing) appare una contraddizione in termini». Il legittimo affidamento non si tutela con le proroghe: le concessioni devono essere messe a gara entro due anni (con indennizzi per i gestori uscenti) Alla luce di tutte le considerazioni di cui sopra, il Consiglio di Stato arriva quindi ad affermare al punto 27 della sentenza che «l’art. 12 della direttiva 2006/123 è applicabile al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime, con conseguente incompatibilità comunitaria della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica e generalizzata delle concessioni già rilasciate. È peraltro indiscutibile che il confronto competitivo, oltre ad essere imposto dal diritto dell’Unione, risulta coerente con l’evoluzione della normativa interna sull’evidenza pubblica, che individua in tale metodo non solo lo strumento più efficace per la scelta del miglior “contraente” (in tal caso, concessionario), cioè del miglior interlocutore della pubblica amministrazione, ma anche come mezzo per garantire trasparenza alle scelte amministrative e apertura del settore dei servizi al di là di barriere all’accesso. Inoltre, il confronto è estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione del patrimonio nazionale costiero e una correlata offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza, potendo contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita». Confutando da ultimo anche la tesi del legittimo affidamento (punto 38: «L’affidamento del concessionario dovrebbe trovare tutela (come chiarito da Corte di giustizia e anche dalla Corte costituzionale) non attraverso la proroga automatica, ma al momento di fissare le regole per la procedura di gara»), e affermando che le singole amministrazioni comunali hanno il diritto di disapplicare l’estensione al 2033 in quanto incompatibile col diritto europeo (punti 39-45), il Consiglio di Stato afferma infine (punti 47-51) di essere «consapevole del notevole impatto (anche sociale ed economico) che tale immediata non applicazione può comportare, specie in un contesto caratterizzato da un regime di proroga che è frutto di interventi normativi stratificatisi nel corso degli anni», valutando dunque come congruo il termine del 31 dicembre 2023 per «consentire a Governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che possa finalmente riordinare la materia e disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il sistema di rilascio delle concessioni demaniali. È, infatti, compito del legislatore farsi carico di una disciplina che, nel rispetto dei principi dell’ordinamento dell’Unione e degli opposti interessi, sia in grado di contemperare le ormai ineludibili istanze di tutela della concorrenza e del mercato con l’altrettanto importante esigenza di tutela dei concessionari uscenti». Il termine, precisa Palazzo Spada, è stato individuato in base alla «necessità di assicurare alle amministrazioni un ragionevole lasso di tempo per intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara, nonché degli effetti ad ampio spettro che inevitabilmente deriveranno su una moltitudine di rapporti concessori. […] Scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se via sia – o meno – un soggetto subentrante nella concessione. Si precisa sin da ora che eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni altra disciplina comunque diretta ad eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere». Nella conclusione della sentenza, il Consiglio di Stato arriva anche a tracciare alcuni suggerimenti per la riassegnazione delle concessioni tramite gare pubbliche, avvisando che «nel conferimento o nel rinnovo delle concessioni, andrebbero evitate ipotesi di preferenza “automatica” per i gestori uscenti, in quanto idonei a tradursi in un’asimmetria a favore dei soggetti che già operano sul mercato (circostanza che potrebbe verificarsi anche nell’ipotesi in cui le regole di gara consentano di tenere in considerazione gli investimenti effettuati senza considerare il parametro di efficienza quale presupposto di apprezzabilità dei medesimi). La scelta di criteri di selezione proporzionati, non discriminatori ed equi è, infatti, essenziale per garantire agli operatori economici l’effettivo accesso alle opportunità economiche offerte dalle concessioni. A tal fine i criteri di selezione dovrebbero dunque riguardare la capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica degli operatori, essere collegati all’oggetto del contratto e figurare nei documenti di gara. Nell’ambito della valutazione della capacità tecnica e professionale potranno, tuttavia, essere individuati criteri che, nel rispetto della par condicio, consentano anche di valorizzare l’esperienza professionale e il know-how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi (e, quindi, anche del concessionario uscente, ma a parità di condizioni con gli altri), anche tenendo conto della capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo del territorio locale; anche tale valorizzazione, peraltro, non potrà tradursi in una sorta di sostanziale preclusione all’accesso al settore di nuovi operatori. Ulteriori elementi di valutazione dell’offerta potranno riguardare gli standard qualitativi dei servizi (da incrementare rispetto ad eventuali minimi previsti) e sostenibilità sociale e ambientale del piano degli investimenti, in relazione alla tipologia della concessione da gestire. La durata delle concessioni dovrebbe essere limitata e giustificata sulla base di valutazioni tecniche, economiche e finanziarie, al fine di evitare la preclusione dell’accesso al mercato. Al riguardo, sarebbe opportuna l’introduzione a livello normativo di un limite alla durata delle concessioni, che dovrà essere poi in concreto determinata (nell’ambito del tetto normativo) dall’amministrazione aggiudicatrice nel bando di gara in funzione dei servizi richiesti al concessionario. La durata andrebbe commisurata al valore della concessione e alla sua complessità organizzativa e non dovrebbe eccedere il periodo di tempo ragionevolmente necessario al recupero degli investimenti, insieme ad una remunerazione del capitale investito o, per converso, laddove ciò determini una durata eccessiva, si potrà prevedere una scadenza anticipata ponendo a base d’asta il valore, al momento della gara, degli investimenti già effettuati dal concessionario. È inoltre auspicabile che le amministrazioni concedenti sfruttino appieno il reale valore del bene demaniale oggetto di concessione. In tal senso, sarebbe opportuno che anche la misura dei canoni concessori formi oggetto della procedura competitiva per la selezione dei concessionari, in modo tale che, all’esito, essa rifletta il reale valore economico e turistico del bene oggetto di affidamento». In ogni caso, ammette il Consiglio di Stato a tutela degli attuali titolari di spiagge, «l’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni dovrà, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi».

Fonte: MondoBalneare.com

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