LA SPEZIA – Salute, sicurezza e sostenibilità in ambito portuale sono urgenze sulle quali bisogna tenere sempre più alta la guardia come lo spiega in questo articolo Daniele Ciulli già responsabile della sicurezza in Lsct Contship e ora generale manager della società Spezia Carrara Cruise Terminal.
di Daniele Ciulli
Mi sono occupato di salute e di sicurezza sul lavoro per lunghi anni della mia vita professionale e della mia carriera, ricoprendo ruoli diversi, sia in azienda che nelle associazioni dei datori di lavoro.
Ho sempre cercato di vivere e ho vissuto con grande senso di responsabilità ed onestà intellettuale questo mio ruolo, cosciente e consapevole che in ambito portuale, più che in altri settori, il rischio di incidente è come una spada di Damocle, sempre in potenziale agguato o se si vuole dietro l’angolo.
E la convinzione che mi sono fatto in tutti questi anni è che la sicurezza è, prima di tutto, un fatto di CULTURA.
***********
Come per gli incidenti in ambito stradale, ci sono elementi di cultura (o sottocultura) che inducono e conducono a comportamenti che non so come definire se non “machisti”. Sono in ogni caso, sotto questo aspetto, comportamenti contagiosi che infondono nei lavoratori e nei datori di lavoro (non tutti e non in egual misura) la falsa convinzione che niente di male può loro accadere perché “sanno come si fa”.
L’approccio psicologico è quindi fondamentale anche e soprattutto perché accomuna spesso lavoratore, preposto, dirigente e datore di lavoro in una complicità “malata”, alimentata anche da una narrazione dei portuali come figure romantiche, operai-eroi, che sono tutti forti e “giovani e belli”.
***********
Ma vediamo quali sono gli atteggiamenti di fronte al problema sicurezza dai due consolidati punti di vista.
Il datore di lavoro tende a non credere all’utilità delle normative di sicurezza, perché più che un costo inutile, le ritiene un intralcio alla produttività aziendale, una sovrastruttura che ingessa i processi operativi.
A questo si aggiunge che il datore di lavoro sovente ha la sensazione che, in caso di infortunio, la responsabilità sarà comunque ricondotta in capo a lui, qualunque cosa lui abbia posto in essere per la riduzione dei rischi. E’ un senso di frustrazione questo che si aggiunge a una conoscenza relativa della normativa vigente.
Il lavoratore, a sua volta, sente le procedure di safety come una limitazione della propria professionalità, soprattutto quando e se ha un’esperienza consolidata.
Tende, in parte di sua sponte e in parte spinto dall’organizzazione, ad aumentare la velocità delle operazioni oppure a trovare soluzioni in autonomia anche a problematiche complesse, con la convinzione, falsa, di creare valore per sé e per l’azienda.
Questo fenomeno è amplificato da meccanismi emulativi che portano a riprodurre comportamenti sbagliati.
**********
Esempi ce ne sono a iosa come quelli che sto per citare, attenendomi a una essenziale casistica emblematica:
- I lavoratori che si fanno sollevare dal muletto in piedi sulle forche (o, se va bene, su un pallet);
- I camionisti che si improvvisano segnalatori per il gruista, mettendosi sotto carichi sospesi (quando non spingono loro stessi il carico con le mani);
- I rizzatori che si muovono in coperta su ordini di container senza essere vincolati, oppure in stiva, senza essere nella vista del manovratore;
- gli operatori che accedono a luoghi confinati senza preventiva verifica di gas free e che, in caso di malore, si precipitano generosamente in aiuto del collega andando a creare, purtroppo, una catena di morte.
**********
Per fermare ed invertire il trend è, a mio avviso, necessario, quindi e prima di tutto, un impulso di forte cambiamento culturale che coinvolga sia il lavoratore sia il datore di lavoro, e più in generale, l’intera organizzazione aziendale.
Quando noi rendemmo obbligatorio l’uso del casco nei piazzali del “La Spezia Container Terminal”, ci presero per pazzi.
Da una parte i lavoratori che la vedevano come un’imposizione assurda, che creava fastidio senza alcun vantaggio in termini di maggiore sicurezza.
Dall’altra il management che la vedeva, nel migliore dei casi, come una cervellotica stravaganza che, di conseguenza e molto spesso, era il primo a disattendere.
Eppure fu una rivoluzione copernicana: e il casco per il lavoratore portuale come il camice del farmacista, è oggi acquisito come elemento distintivo che va ben oltre la pratica utilità di protezione.
**********
Se valutiamo i settori nei quali la cultura della sicurezza sul lavoro ha realmente attecchito e l’obiettivo zero infortuni non è rimasto solo uno slogan (il primo che mi viene in mente è il settore chimico, ma si possono citare anche altre tipologie dove sono presenti impianti industriali complessi), ci rendiamo conto che ci sono riusciti, in un cambio di paradigma, utilizzando alcuni strumenti manageriali:
- La valutazione degli elementi di rischio in ogni fase del ciclo produttivo e l’individuazione delle misure di mitigazione. In altri termini la valutazione del rischio non si fa alla fine, quando il processo è definito, l’organizzazione adottata, gli investimenti in equipment e sistemi informativi decisi, e quindi è praticamente impossibile andare a cambiare qualcosa, se non con costi rilevanti. La funzione safety è al centro dell’organizzazione al pari della funzione operativa, tecnico-manutentiva e risorse umane e contribuisce al processo decisionale. In questo modo si rende il processo di realizzazione di un prodotto o di un servizio intrinsecamente sicuro, e al tempo stesso massimamente efficiente, perché non ci sono stop and go legati alla sicurezza. Questi concetti sono applicabili anche nel campo della portualità e della logistica solo con uno sforzo di pensiero laterale, che ci faccia uscire da una logica artigianale ed entrare in una logica di progettazione industriale.
- L’analisi puntuale e approfondita degli infortuni e dei near miss, superando un approccio di reticenza e di minimizzazione dell’accaduto. Questo questo consenteQQuesto consente di individuare i rischi nascosti e le opportune misure di mitigazione
- La formazione continua per i lavoratori, ma anche per dirigenti e datori di lavoro, per far prevalere una organizzazione in cui la safety è posta alla pari delle altre funzioni aziendali.
- La sorveglianza e la repressione, sì repressione, dei comportamenti errati, ma anche la ricompensa (concetto premiale) dei comportamenti corretti (Behavior Based Safety -BBS).
**********
Un ruolo centrale in questo cambiamento culturale hanno (o dovrebbero averlo) le Autorità di Sistema Portuale.
Forti investimenti in formazione di alto livello per dirigenti e datori di lavoro, con condivisione delle migliori pratiche, sarebbero assai utili in un settore dove le aziende sono medio piccole e non hanno né risorse né struttura per accedere a questi strumenti.
**********
Si fa un gran parlare, inoltre, di sostenibilità, riferendosi in gran parte agli aspetti ambientali. In realtà la salute e la sicurezza sul lavoro ne è parte integrante e le Autorità di Sistema Portuale potrebbero riservare una riduzione nella concessione alle imprese portuali che raggiungono obiettivi sfidanti in termini di riduzione degli infortuni, premiando così le aziende che scelgono un percorso virtuoso.
*********
Infine un breve accenno sull’annosa questione del coordinamento tra D.Lgs. 81/08 e D.Lgs. 272/99. Ogni infortunio è una sconfitta ed è giusto che l’ordinamento punisca, anche con fermezza, chi ha delle responsabilità.
Ma quando penso che la revisione del D.Lgs. 272/99 era stato elaborato con spirito collaborativo dalle parti datoriali, sindacali e dagli organismi di controllo e che la stessa giace da 14 anni in un cassetto del Ministero Infrastrutture e Trasporti senza motivo apparente, provo un misto di rabbia e anche di vergogna.
L’attuale governo ha deciso di formare un tavolo tecnico che riprenda in mano il testo del 2010 per provare a superare i problemi formali: sarebbe comunque già un traguardo importante anche se raggiunto con 14 anni di ritardo.