LA SPEZIA – Si è rivelato straordinariamente attrattivo il convegno su “La Spezia e il suo porto, protagonisti nello scenario globale del terzo millennio” al Cruise Terminal della Spezia, organizzato da Confindustria La Spezia con le Associazioni degli Spedizionieri, degli Agenti marittimi e dei Doganalisti.
Già il numero dei partecipanti, trecento, in presenza cui vanno aggiunti i collegamenti da remoto, può dare l’idea di un interesse diretto al tema declinato in tutti i suoi aspetti nella ricerca di una visione condivisa per affrontare le sfide che il mondo portuale e logistico è chiamato ad affrontare e che impegna una realtà da sempre reattiva e pronta, ormai per consolidata vocazione, a cogliere le innovazioni come quella del Porto della Spezia.
Il convegno ha intanto costruito un quadro di insieme che andrà raccontato in tutte le sue componenti e risposto all’obiettivo che si era dato: fare partire dalla Spezia una, se non la “riflessione sui cambiamenti in atto che dovranno traguardare nuove soluzioni perché la portualità e la logistica siano all’altezza delle sfide del mondo che cambia, tema al quale è stata dedicata la recente assemblea nazionale di Federspedi a Venezia conclusa con il richiamo a tutti gli operatori di `guardare insieme allo scenario internazionale per costruire una risposta alle sfide sociali, economiche, ambientali che abbiamo di fronte”.
E così dopo i saluti di Mario Gerini, presidente Confindustria La Spezia e di Pierluigi Peracchini, sindaco della Spezia, è stato Andrea Fontana, presidente dell’Associazione degli Spedizionieri del Porto della Spezia, ad introdurre il tema del convegno e i lavori, con i confronti moderati dalla giornalista Veronica Gentili che ha dimostrato, nell’incalzare delle domande, di essersi perfettamente calata nella realtà spezzina, delle sue peculiarità e del suo essere come modello di una portualità e di una logistica di eccellenza nel sistema Italia.
“Sono motivi gravi e urgenti quelli che ci hanno spinto a organizzare questo convegno. Motivi che nascono dalla necessità che da qui. dalla Spezia, si faccia una riflessione sui recenti cambiamenti perché La Spezia, che un porto nazionale importante e all’avanguardia, ha tutte le carte in regola per poter esprimere non solo il suo punto di vista ma anche per proporre originali soluzioni per affrontare i mutamenti in atto e quelli annunciati”.
Ha iniziato così la sua introduzione il presidente Andrea Fontana che ha poi proseguito: “Non nascondiamo anche di aver sentito la necessità di dare un po’ di visibilità al nostro porto che indubbiamente merita per la sua storia di successo ancora poco conosciuta”.
E è subito passato al contesto nel quale si è chiamati ad operare con il riconoscimento dell’importanza strategica della catena logistica: “Se si vuole capire la vera natura dei cambiamenti che ci coinvolgono non si può prescindere da situazioni accadute in altri contesti, economici, sociali e geografici. Il riferimento è alla pandemia di Covid che ha letteralmente scosso dalle fondamenta il nostro modo di vivere, di lavorare, di divertirsi ha però dato evidenza e consapevolezza di una realtà forse prima tenuta sottotraccia o scontata: e cioè come la logistica sia una attività strategica, imprescindibile, dell’economia e come essa sia stata fondamentale per fronteggiare l’emergenza e contenerne gli effetti devastanti”.
“Ed è stato proprio in tempi di lockdown infatti che la logistica intesa, in sintesi, come l’insieme organizzato di tutte quelle attività coordinate che hanno come scopo di trasportare dal punto A al punto B le merci, nel modo più breve, economico, sicuro e sostenibile, ha assunto, e si è vista riconoscere, un ruolo prioritario agli occhi sia dell’opinione pubblica perché la catena di approvvigionamento non si è mai né interrotta né fermata: La logistica è stata dichiarata un servizio essenziale per l’economia del Paese”.
“Anzi, è in quei movimenti così gravi che le attività logistiche hanno assicurato i rifornimenti dei beni più importanti e soprattutto di prima necessità come gli alimenti e le medicine, adattandosi rapidamente e direi molto bene sia a un nuovo modo di operare (smart working) adoperando tutti i mezzi informatici più avanzati sia, allo stesso tempo, mantenendo in servizio tutte le attività di trasporto fisico nel rispetto di protocolli di sicurezza”.
Andrea Fontana ha subito dopo affrontato il cuore del problema: “E’ proprio alla luce di quanto fatto che è giusto e opportuno analizzare e cercare di capire, da operatori portuali, quali sono stati i cambiamenti avvenuti nel nostro settore, quali sono in atto e quali si prospettano nel futuro prossimo”.
Ecco la prima parte della sua analisi: “La prima riflessione che mi viene da fare è che il nostro Paese anche in questa realtà presenta aspetti peculiari. Se è dunque vero che la maggior parte delle nostre imprese è di piccole dimensioni, sottocapitalizzata, fortemente localizzata è anche vero che nel contempo si tratta di aziende flessibili, altamente professionali e fortemente orientate alla soddisfazione del cliente. Le grandi imprese di spedizione presenti in tutto il territorio Italiano sono invece tutte a capitale straniero e si sono affermate in Italia mediante acquisizioni di aziende locali tra le più strutturate. E’ questa peculiarità tutta italiana che ha probabilmente causato la scelta da parte delle imprese esportatrici – pure esse con una forte componente di aziende di piccole dimensioni – di vendere le proprie merci all’estero con la clausola dell’ex works (franco magazzino)”.
Ebbene “a fronte di un’offerta della spedizione così strutturata e, diciamolo anche poco trasparente, le aziende hanno preferito rinunciare a una parte del loro business, con il rischio anche di perdere in competitività. Pensiamo solo che il 70 % di export italiano avviene con questa modalità ed è facilmente comprensibile quanto rinunciamo economicamente ad un parte sostanziale della catena di approvvigionamento”.
E ha concluso gettando sul confronto “la domanda che va posta oggi è: si può ancora rimediare a questo gap?” Senza sottrarsi a una prima sua risposta che è stata “Ritengo di sì, anzi si sta già facendo”.
E lo ha spiegato così: “Le imprese di spedizione italiane – enfatizzando gli aspetti di professionalità e di accuratezza, affiancati da una spinta alla informatizzazione e a una ricerca di soluzioni di collaborazione e partenariato con aziende di spedizioni del resto del mondo attraverso reti e portali condivisi – stanno recuperando quote di mercato e spazi di azione. Questo nuovo sistema si sta orientando verso un modello di azienda ambientalmente sostenibile che affianchi le imprese nella loro internalizzazione. Questa è la prima risposta a modelli di impresa se seguono ciascuna, attraverso le proprie eccellenza, al processo di integrazione orizzontale.
Stanno cioè riponendosi come partner degli esportatori per modificare l’offerta, un’offerta che includa la resa della merce a casa del cliente”.
Ma c’è un ma. Perché “nel frattempoprofondi cambiamenti sono avvenuti in questi ultimi due anni a livello globalee con i quali noi operatori dobbiamo misurarci. E’ difficile individuarne i motivi di fondo ma certamente anche qui la pandemia ne ha accelerato il processo. La ripresa tumultuosa della domanda di beni di consumo e di materie prime avvenuta a partire dallo scorso anno – causata da una evidente disponibilità di risorse economiche da parte dei mercati americani ed europei e dalla necessità delle famiglie di riprendere quel modo di vivere che avevano dovuto interrompere a causa dei lockdown – ha portato alla congestioni dei porti in Cina e conseguentemente a ritardi nella partenza delle navi che hanno, a cascata, comportato sconvolgimenti in tutta la catena del trasporto aggravata inoltre dalla mancanza di disponibilità di contenitori vuoti e di offerta camionistica”.
Ci si è trovati insomma da dover comunque gestire una situazione caotica che ha causato un aumento esponenziale dei noli marittimi in maniera imprevedibile ed imprevista perfino da parte dei beneficiari. Paradossalmente, però, l’aumento è stato assorbito da un mercato evidentemente in fase di forte ripresa che ha portato come conseguenza benefici in termini economici soprattutto alle grandi Compagnie di Navigazione che, dopo anni di difficoltà o quasi, stanno incamerando profitti enormi. Purtroppo non si può affermare la stessa cosa per i consumatori finali che devono fare i conti con l’aumento dell’inflazione e dei prezzi.
Ma se da una parte tutto questo notevole flusso di denaro finirà infatti per beneficiare in parte tutti i soggetti coinvolti nella supply chain dall’altra non può non preoccupare lo strapotere economico assunto dalle Compagnie perché modifica i rapporti di forza all’interno della catena portuale e logistica.
Sia chiaro, non che noi adesso le consideriamo avversarie, anzi il rapporto che ci lega a loro è da sempre di stretta collaborazione ma alcuni segnali, e non di poco conto, ci fanno però intravedere la tendenza alla cosiddetta integrazione verticale che per sua intrinseca natura finirà per togliere quote di mercato agli operatori tradizionali in alcuni segmenti della supply chain.
Già oggi assistiamo ad operazioni economiche da parte di alcune compagnie che diventano terminalisti, operatori di interporti e del trasporto terrestre e persino doganalisti, provocando squilibri nei mercati delle catene di approvvigionamento , ma soprattutto ai territori, porti e città che rischiano di diventare solo luoghi di transito delle merci con tutte le conseguenze che si possono immaginare.
Comunque siano le finalità noi operatori consideriamo l’integrazione verticale un pericolo non solo perché toglierà spazi anche a spedizionieri, agenti portuali e doganalisti, e quindi all’economie delle città , e già di per sé questa sarebbe una obiezione legittima, ma anche perché l’integrazione verticale si tradurrebbe in una vera perdita di efficienza e di professionalità per tutto il sistema portuale. Caso emblematico la staticità che per anni a vissuto il Porto di Carrara” con tutti servizi affidati ad un unico imprenditore.
“Non è che tutti possono fare tutto” – ha esclamato con forza il presidente Andrea Fontana – in quanto “in un mondo sempre più complesso e anche più sofisticato la specializzazione è la carta vincente. Efficienza e professionalità devono essere combinate e abbinate fra loro. E non si può risolvere un problema semplicemente eliminandolo”.
Ed ecco l’alternativa made in La Spezia: “La Spezia e il suo sistema portuale si propongono invece come modello di porto che fa della collaborazione tra settore pubblico e operatori privati la sua caratteristica distintiva, non è un caso che Spezia è stata scelta sperimentare le procedure più innovative come il preclearing e prossimamente il Sudoco. Una sinergia di intenti e di operatività che permette al nostro porto e alla nostra città di assumere sempre di più il ruolo di protagonisti nella crescita economica del Paese.
E dunque? “Di fronte a questo scenario abbiamo la consapevolezza che stanno cambiando i paradigmi e i processi che per anni hanno caratterizzato la portualità e la logistica, siamo di fronte ad una rimodulazione complessiva dei sistemi e la nostra forza come Paese, come La Spezia e il suo Porto, sarà quella di riuscire ad anticipare i cambiamenti per essere sempre protagonisti. Questa è la sfida che abbiamo di fronte!”