La questione della produzione e della commercializzazione dell’acciaio sta diventando un grave problema per l’economia e l’industria mondiale non solo per la questione dei dazi protettivi imposti dalla Unione Europea. Allargando lo sguardo proponiamo un servizio di grande interesse di Italia Oggi su quello che sta avvenendo in Cina, in Australia e in Brasile.
di Enzo Millepiedi
La questione dell’importazione pro quota dell’acciaio, con dazi protettivi imposti dalla Unione Europea, sta diventando davvero seria e grave fondamentalmente per due motivi: la scarsità del prodotto che sta bloccando le industrie italiane e, connesso al primo, il prezzo che sta diventando proibitivo se non insostenibile. Solo negli ultimi sei mesi è più che raddoppiato. In parte a causa della speculazione indotta nel mercato di domanda e offerta ma soprattutto per questa contingenza delle quote che arrivate alla soglia massima consentita dalla Ue nell’arco che va di tre mesi in tre mesi. Resta in predicato infine il controllo sulla produzione che finisce per incidere non solo sulla quantità ma anche sulle manovre, politiche, dei prezzi.
Contingenza che provoca il blocco delle importazioni: l’acciaio arriva e continua ad arrivare ma viene bloccato nei porti e nei magazzini e non viene sdoganato perché il dazio protettivo prevede il pagamento del 25 per cento in più sui dazi normali che rientrano appunto nella quota di importazione ammessa in Italia e nei Paesi della Ue.
In questi giorni si è insistito sull’acciaio inox importato da Taiwan – con il punto fatto con Francesco Mazzi di Spedemar che tratta, a Santo Stefano Magra, specificamente i prodotti siderurgici, ma ci sono importazioni che stanno arrivando da altri Paesi, in viaggio sulle navi attese nei terminal italiani e europei. Tutti carichi destinati a rimanere in deposito ante dogana?
E’ praticamente uno scenario scontato, viste le condizioni non previste ma che in tempi straordinari si stanno trasformando in un boomerang anche perché, va ripetuto, la produzione di acciaio all’interno della Ue è ben lontana da fare fronte alla domanda dei Paesi europei.
E’ peraltro il caso, per allargare lo sguardo oltre ai porti di Monfalcone, Ravenna (utilizzato dal Gruppo Marcegaglia) e La Spezia (dove l’acciaio bloccato sta superando le 10mila tonnellate) come proposto da un servizio di “Italia Oggi” che analizza soprattutto quello che sta accadendo in Cina, in Australia e in Brasile. E qui si ben oltre la questione dei prezzi più che raddoppiati e dei dazi protettivi, con uno scenario preoccupante.
“Quella australiana – scrive Italia Oggi – è un’economia d’acciaio inossidabile: l’anno scorso l’export del minerale di ferro ha raggiunto la cifra record di 149 miliardi di dollari, per gran parte dalla Cina, che ha avviato una serie di nuove politiche per frenare le importazioni e ridurre la dipendenza dal carbone. L’Australia osserva. E trema. Il prezzo dell’acciaio ha subìto un crollo del 40% solo nell’ultimo mese, passando da un massimo di 233 dollari a tonnellata a 130 dollari. Con la Cina che rappresenta sino al 75% delle importazioni mondiali di minerale di ferro, la merce di esportazione più preziosa dell’Australia è stata colpita dalla nuova linea introdotta da Pechino, che include la riduzione dell’uso dell’acciaio.
«I cinesi stanno cercando di mantenere la produzione d’acciaio nel 2021 ai livelli del 2020 per ridurre le emissioni», ha detto a News.com l’economista della Commonwealth Bank, Vivek Dhar. Per raggiungere l’obiettivo, «la produzione d’acciaio grezzo deve diminuire del 12,2% da agosto a dicembre. A luglio la produzione cinese è calata dell’8,4%». «Anche la domanda nel settore immobiliare e delle infrastrutture cinesi si è indebolita», ha sottolineato Dhar, «infrastrutture e proprietà rappresentano rispettivamente il 25% e il 30% della domanda cinese d’acciaio».
In Brasile, in seguito al crollo di una diga avvenuto nel gennaio del 2019 in una delle operazioni di estrazione del minerale di ferro, la produzione è scesa drasticamente, causando l’impennata dei prezzi. Si teme che le Olimpiadi invernali che si terranno a Pechino dal 4 al 20 febbraio del 2022 possano causare cali sostanziali della domanda del minerale di ferro, oltre a generare un impatto sul prezzo.
Il perché l’ha spiegato ancora Dhar. «Le restrizioni alla produzione d’acciaio per garantire aria pulita a Pechino durante i Giochi invernali sono una probabile mossa politica. Abbiamo visto queste restrizioni già applicate in passato, quando la Cina ha celebrato le grandi occasioni».
«Pechino sta già attuando tagli all’acciaio e ad altre produzioni dell’industria pesante durante i mesi invernali nel nord del paese, perché è in quel periodo dell’anno che i livelli di qualità dell’aria si deteriorano», ha detto l’esperto della Commonwealth Bank.
«Questi tagli sono in genere implementati da metà novembre a metà marzo, con esenzioni solitamente previste per le acciaierie che soddisfano standard di emissioni ultra basse». Per ogni 10 dollari di diminuzione del prezzo del minerale di ferro rispetto al budget previsto per quest’anno finanziario, si prevede che il Pil nominale dell’Australia e le entrate fiscali del governo federale diminuiranno rispettivamente di 6,5 miliardi di dollari a 1,3. Circostanza che potrebbe indebolire anche un’economia d’acciaio come quella australiana”.