Tempo di lettura: 3 minuti
LA SPEZIA – Non si è ancora capito che il consunto costume tutto italiano di complicare, rallentare, bloccare ogni progetto rischia di farci perdere l’inaspettata e ultima straordinaria occasione del Pnrr per i quali i tempi vanno rigorosamente rispettati? Stiamo davvero scherzando con il fuoco e con il futuro dei nostri figli.
di Salvatore Avena
La scadenza del 2026 per dare piena attuazione ai progetti finanziati dal Piano di Ripresa e Resilienza appare sempre di più troppo vicina rispetto alle questioni economiche che in questi ultimi mesi hanno coinvolto l’intera area Euro.
Mi riferisco all’aumento del costo delle materie prime, alla crisi energetica e all’aumento dell’inflazione che condizionano interventi economici e finanziari sia pubblici che privati.
Tutto ciò rischia seriamente di pregiudicare il crono programma degli interventi previsti dai piani dei singoli Paesi e di determinare congestioni burocratiche, cantieri che restano aperti e, ancora peggio, mancanza di risorse disponibili per effetto dell’aumento incontrollabile dei costi.
E se da un lato l’avvio di cantieri e dei lavori può favorire una tenuta, e in alcuni casi anche una ripresa economica, dall’altro l’incertezza sui costi finali e le inderogabili scadenze contribuiscono a favorire rischi e incertezze.
Detto questo, che in sostanza potrebbe rappresentare una sintesi del pensiero e delle situazioni che sono comuni ai Paesi dell’Unione, l’Italia “vanta” in più il primato di dover fare i conti, nei suoi piani di intervento, con il costante rischio, come una spada di Damocle, di opposizioni, di ricorsi e di ogni contrasto possibile, capaci di complicare, rallentare, bloccare, se non addirittura pregiudicare le opere decise e previste.
Questo triste primato è già ben noto per alcune infrastrutture come la nuova diga di Genova e come non ultimo, il nodo ferroviario di Bari, e infine per non andare lontano, la vicenda Snam il cui potenziale ammodernamento e adeguamento per nuovi servizi è ora oggetto di opposizioni ideologiche e politiche.
Altro elemento, che non pare all’ordine del giorno, è anche l’assoluta mancanza di valutazioni oggettive a valle sugli interventi, soprattutto per quelli immateriali e ambientali, dove resta da comprendere se gli investimenti compiuti hanno prodotto e producono, realmente, innovazione, efficienza e sostenibilità negli ambiti per cui sono stati realizzati.
E’ come se non esistesse la buona pratica dell’analisi dei costi e dei ricavi in termini di efficienza, ma soprattutto della valutazione dei vantaggi e degli svantaggi, presenti e futuri, non solo in termini economici ma anche sociali. Una buona pratica richiesta per ogni scelta che non faccia prevalere posizioni spesso preconcette e ancor peggio ideologiche se non strumentali nella ricerca del consenso, posizioni spesso occasionali di gridanti minoranze di questo o quel campanile.
Quel che è ancora più profondamente bizzarro è che nessuno risponde anche di fronte all’evidenza di errori di previsione e di valutazione, dei ritardi e dei danni provocati, essendo già impegnati a diffonderne e a provocarne altri.
Risolvere questa questione oggi non solo è utile ma necessaria considerato che la grande opportunità che ci è data è vero che sarà l’ultima per i prossimi decenni come è tremendamente vero che, a queste condizioni, sarà anche l’ultima occasione per trasformare e ammodernare il nostro Paese e per avere anche la coscienza a posto perché le opere e le innovazioni che saranno realizzate più che per noi andranno a favore delle nuove generazioni, le quali nel contempo saranno chiamate a onorare gli impegni debitori.
Il dibattito politico sul PNRR si limita, purtroppo e inadeguatamente al tema delle riforme da attuare al fine di ottenere le trance dei finanziamenti, mentre sulla sostanza delle opere da avviare o da completare non si affatica sul come accompagnare e sostenere i progetti per evitare che si incaglino nelle pastoie burocratiche e nelle insidie populiste.
E di farlo, sia ben chiaro, favorendo la partecipazione e la condivisione ragionate, comprese le valutazioni nelle fasi di completamento per avere non solo la certezza di aver prodotto utilità al Paese ma anche per ricostruire un rapporto di fiducia con i cittadini.
Tuttavia una cosa è certa per tutti che il tema delle transizioni digitali e ambientali sono i pilastri per costruire il futuro del nostro Paese ma deve essere anche certo che per realizzare le opere e le infrastrutture materiali e immateriali è fondamentale che chi governa e amministra, a tutti i livelli, insieme alla politica, deve assumere pienamente ruoli e responsabilità più incisivi e più determinati.
l famoso e fino troppo diffuso detto “not in my back yard” – non nel mio cortile – deve essere sostituito da una visione che abbia prima di tutto a cuore l’interesse generale dell’Italia e delle nuove generazioni.
La speranza è che con la Next Generation Ue, si affermi anche nel nostro Paese una quarta transizione, oltre alla digitale, ambientale e sociale, quella culturale, finalmente capace di accompagnare per davvero l’Italia in futuro migliore.