Riforma dei porti e autonomia differenziata, liberiamoci subito dalle contraddizioni

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LA SPEZIA – Il rapporto tra autonomie differenziate e riforma dei porti si intrecciano nell’iter verso una soluzione giusta e possibile che parta dal riconoscimento del ruolo strategico che la portualità e la logistica rappresentano per il Sistema Paese. E dunque? Il messaggio è: liberiamoci intanto e subito dalle contraddizioni.

di Salvatore Avena
Ritorno sul tema delle autonomie differenziate previste dal DDL Calderoli che ripropone ancora una volta il ruolo strategico che i porti rappresentano per il sistema Paese.
Non sono contrario in linea di principio al riconoscimento di alcune autonomie differenziate alle regioni, peraltro previste dalla nostra Costituzione, anzi credo che su alcune materie  l’autonomia sia l’unica strada per dare più efficienza, riducendo e, se possibile, eliminando gli ostacoli della burocrazia centrale.
La riforma del Titolo V che andava in questa direzione, tuttavia deve avere insegnato ai decisori politici come è opportuno e fondamentale ragionare avendo una visione di Stato nazionale perché è l’unico percorso che può mettere insieme l’auspicata efficienza per le autonomie e gli interessi economici e sociali dell’intero Paese.
In sostanza evitiamo che siano le opinioni del momento a guidare le scelte ma guardiamo al modello di autonomia differenziata tenendo insieme il Paese nel quadro europeo e mondiale.
Affermo questo, perché proprio nei giorni scorsi ho letto alcune dichiarazioni del presidente della Regione Liguria, che si proponeva alla partecipazione al tavolo nazionale con il ministero delle Infrastrutture sul tema dell’autonomia delle Regioni nei settori della logistica e della portualità.
Per comprendere meglio perché la portualità deve rimanere un tema di interesse nazionale partiamo da alcune semplici considerazioni.
I porti oggi sono governati da Autorità di sistema che sono di indicazione e nomina nazionale.
Le aree nelle quali sorgono i porti sono aree demaniali di proprietà dello Stato e date in servitù agli operatori per mezzo di concessioni.
Le infrastrutture dei corridoi logistici sulle quali transitano le merci (rotaia e strade carrabili) da e per i porti, sono gestite e manutenute a livello centrale e gli investimenti e le risorse dedicate sono stanziati dallo Stato secondo criteri di efficienza per il sistema Paese.
I traffici delle merci sono generati per le esportazioni da migliaia di aziende italiane insediate su tutto il territorio nazionale nei diversi distretti industriali e le importazioni giungono nel nostro Paese in base a criteri di funzionalità e rapidità di consegna che sceglie l’importatore italiano.
I porti strategici Italiani, tutti quelli liguri, sono inseriti dall’Unione Europea nei corridoi Ten-T con obiettivo generale di stabilire un’unica rete transeuropea multimodale e di poter accedere a misure, fondi strutturali e di coesione con progetti di valenza Unionale.
Potrei continuare, ma penso che questi esempi disegnino già con chiarezza il ruolo di strategicità e di asset nazionale che sono i porti per gli interessi economici del sistema Paese considerando che solo dai Porti liguri transita il 50% dei traffici italiani.
Provando allora a separare dal concetto di autonomia differenziata per i Porti, quelle che sono le potenzialità di gettito erariale per le Regioni e il ruolo della governance e la sua gestione, lo scenario diventa di tutt’altra natura ed è su queste aspettative che è possibile avviare una diversa discussione politica che a mio avviso non può avere nulla a che vedere con l’autonomia differenziata!
Parliamo allora di riforma dei Porti, dunque, del modello di governance delle Autorità di sistema portuale, e sulle scelte da fare ovvero  se mantenerle pubbliche,  se aprire ai  privati  o prevedere un sistema misto, se trasformarle i società per azioni o se mantenerle come enti pubblici non economici.  E di conseguenza parliamo di revisione del gettito erariale in relazione al territorio sul quale insiste il Porto armonizzando le richieste  frutto dalle procedure di infrazione segnalata dall’Unione Europea  con il nostro modello operativo.
Parliamo, insomma, di portualità e di logistica e non di autonomia differenziata su materie che devono essere, per la loro stessa natura, di competenza sovraregionale!
Credo che una visione regionalistica sui porti e sulla logistica rappresenti una limitazione nella potenzialità di crescita e di sviluppo del sistema dei porti italiani, tenendo conto anche che, per esempio, l’Autorità di Sistema del Mar ligure orientale grava su due regioni diverse,  una soluzione che alla prova dei fatti si è rivelata, per comune riconoscimento, positiva in quanto ha permesso e promosso l’integrazione delle diverse funzioni fra i porti a cominciare da quelle digitali, favorendone la vocazione e lo sviluppo.
Il nostro Paese è diverso da quelli del Nord Europa e prendere a modello i porti nelle Città-Stato come Amburgo confligge non solo con la storia del nostro Paese ma anche con le sue vocazioni portuali.
Non credo insomma che imitare sia la soluzione migliore, penso invece che siano più funzionali le politiche che favoriscano e aumentino i traffici marittimi nei nostri porti e facciano crescere la logistica italiana realizzando in tempi certi le infrastrutture attese ormai da troppi anni, materiali e immateriali.
Per concludere, partiamo allora da una sana riforma dei Porti mettendo a frutto le competenze e le conoscenze del vice ministro Edoardo Rixi sui temi ricordati, promuoviamo politiche di sistema per favorire l’aumento dei traffici nel Mediterraneo e nei Porti italiani, lavoriamo per una visione europea e mondiale di efficienza dei nostri sistemi portuali ed evitiamo contraddizioni che potrebbero nuocere alla portualità e alla logistica italiana.

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