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LA SPEZIA – Ora siamo davvero arrivati alla prova del nove sulla reale capacità di tramutare i buoni progetti in buone realizzazioni, in tempi certi e veloci, burocrazia italiana, perché sempre questo è il problema, permettendo.
di Salvatore Avena
La competitività dei principali porti italiani nello scacchiere internazionale oggi più che mai si gioca sulla necessità di tempi certi e veloci per la realizzazione delle opere previste dai progetti approvati inseriti nel PNRR.
L’occasione dei fondi della Next Generation EU che hanno nella digitalizzazione e nella sostenibilità ambientale i pilastri fondamentali configurano i nostri porti come destinatari perfetti di queste risorse.
Elemento questo che ha già consentito di avviare proposte e progetti per realizzare e ottimizzare il sistema infrastrutturale e operativo dei principali scali nella direzione di favorire l’integrazione intermodale e, chiaramente, il tutto in un contesto “Green”.
E’ evidente che se da un lato la parte pubblica ha l’opportunità di intervenire nei sistemi portuali con importanti investimenti dall’altro è fondamentale fra crescere l’affidabilità complessiva del sistema per attirare e consolidare gli investimenti privati.
Il tema è, sostanzialmente, questo e non riguarda solo il settore della logistica e della portualità. Fa infatti emergere con chiarezza che il nostro Paese deve assolutamente intervenire e definitivamente per rendere la contorta maglia burocratica, che limita la capacità di innovazione e di crescita, più snella ma soprattutto più semplice.
Pare però, purtroppo, che l’annosa discussione sulla burocrazia e sui processi complessi delle pubbliche amministrazioni sia in questo momento finita, maldestramente e incoscientemente, in secondo piano, mentre in realtà sappiamo che l’Unione Europea ha scandito con chiarezza i tempi massimi, e inderogabili, per realizzare i progetti con gli investimenti previsti dal PNRR.
Il sistema portuale e logistico Italiano tuttavia e fortunatamente vive e produce grazie a una articolata presenza di aziende private che operano nei diversi processi della supply chain, aziende che gestiscono buona parte delle esportazioni e delle importazioni di merci e che per competere e concorrere hanno fatto e continuano a fare consistenti investimenti per favorire la digitalizzazione e le innovazioni strutturali e operative.
Ora la questione si sposta sui grandi terminali della catena logistica, porti interporti e aeroporti, nei quali le aziende private saranno chiamate ad investire e a co-investire per adeguare le loro attività alle innovazioni infrastrutturali e intermodali previste dai progetti dei PNRR. Ed è in questo contesto che si riaprirà la rimasta ineffabile giungla della burocrazia, perché nulla è stato fatto fino ad oggi per favorire processi autorizzativi più snelli.
Mentre soprattutto nella logistica e nella portualità, caratterizzate da tempi lunghi per il ritorno degli investimenti di capitali privati, c’è la necessità che il sistema diventi più attendibile o, meglio, che siano chiare e certe le regole ma soprattutto che siano stabili nel tempo.
All’Italia serve una politica complessiva per la logistica e per la portualità, con un quadro normativo e regolatorio che aiuti gli investimenti privati, una politica che si caratterizzi per favorire la semplificazione burocratica nelle parti autorizzative senza dimenticare che le regole della burocrazia e le azioni moltiplicative dei burocrati sono anche quelle che impediscono ai flussi delle merci e dei dati di essere veloci e di risparmiare risorse, cioè denaro.
Per concludere l’opportunità della New Generation UE deve essere anche l’occasione per rivedere realmente tutti i processi burocratici, semplificandoli il più possibile sapendo che non bastano solo riforme norme e leggi, quelle che chiede l’UE, ma è necessario un profondo cambio culturale della pubblica amministrazione.
Perché solo a queste condizioni sarà possibile avviare una crescita economica e ambientale sostenibile dell’intero sistema logistico portuale.