“Senza pescherecci non ci può essere vero pesce Made in Italy a tavola, per questo è strategico utilizzare parte delle risorse del Recovery Plan per rinnovare la flotta italiana.
E per salvare i 28mila posti di lavoro che garantiscono e promuovono la sovranità alimentare italiana anche nel settore ittico a tutela di imprese e famiglie. Perché in Italia con la persistente crisi dei pescherecci diminuisce la possibilità di portare in tavola pesce Made in Italy, favorendo gli arrivi dall’estero di prodotti ittici che non hanno le stesse garanzie di sicurezza dei nostri”.
Per combattere le frodi – evidenzia l’Unione europea delle cooperative (Uecoop) – è intanto fondamentale prevedere l’obbligo di indicazione in etichetta del giorno in cui il pesce è stato pescato in modo da garantire la massima informazione e trasparenza sulla freschezza del prodotto e l’indicazione di origine va inserita oltre che sui banchi del mercato o dei supermercati anche per i piatti proposti nei menù dei ristoranti, un po’ come avviene per la segnalazione sull’uso di prodotti freschi oppure surgelati.
A richiamare l’attenzione sulla situazione dei prodotti ittici è stata l’analisi dell’Unione europea delle cooperative, che si è basata su dati Istat, pubblicizzata in occasione del lancio del Piano nazionale delle cooperative Uecoop per il consumo di pesce Made in Italy a chilometro zero nell’ambito del “Programma Nazionale Triennale della Pesca e dell’Acquacoltura” in collaborazione con il ministero delle Politiche agricole.
E con il balzo delle importazioni di pesce straniero in Italia che fanno registrare un +24% in quantità nei primi sei mersi del 2021, si rinnova l’allarme per la flotta tricolore che negli ultimi 35 anni ha perso quasi 4 imbarcazioni su 10 con un impatto devastante su economia e occupazione.
Gli italiani mangiano 28 chili di pesce all’anno, superiore alla media europea ma un quantitativo più basso se confrontato con quello di altri Paesi che hanno un’estensione della costa simile, come il Portogallo, dove se ne consumano quasi 60 chili.
E la situazione si sta aggravando. Basti pensare che nel 2021 le importazioni di pesce straniero rischiano di superare gli 860 milioni di chili secondo le proiezioni dell’Unione europea delle cooperative sull’anno, con il rischio di un aumento di truffe e inganni: dalla vendita di specie meno pregiate al posto di quelle migliori all’uso di sostante per far sembrare il pesce più fresco o per gonfiarlo d’acqua e speculare sul peso.
E’ frequente anche l’utilizzo di sostanze in grado di ritardare o mascherare i fenomeni alterativi. In alcuni casi sono sostanze il cui utilizzo sarebbe anche consentito, ma che non sono dichiarate in etichetta, come l’acido citrico o il citrato di sodio o i solfiti, altre volte invece si tratta di sostanze vietate come l’acqua ossigenata con cui si “sciacqua” per sbiancarli, calamari, seppie e polpi.
Una “furbata” per speculare sul peso ai danni dei consumatori – spiega Uecoop – è la “glassatura” in cui l’acqua utilizzata per mantenere idratata la superficie del pesce viene fatta congelare creando uno strato superficiale di ghiaccio oppure mediante salamoia o iniezioni possono essere aggiunti additivi alimentari, come i polifosfati o la glicina, che pur non essendo in genere nocivi per l’uomo, tendono a trattenere l’acqua aumentandone il peso del prodotto.
Un discorso a parte meritano infine i pesci da consumarsi crudi (o poco cotti) come nel Sushi con il rischio della presenza del parassita Anisakis se non viene praticato l’abbattimento termico a meno 20 gradi per almeno 24 ore oppure a meno 35 gradi per almeno 15 ore.