Diciamoci finalmente la verità: gli 11 milioni di Teus dei porti italiani non sono granché

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LA SPEZIA – E’ arrivato, dopo l’elenco delle buone intenzioni, il momento dei fatti per la portualità e la logistica italiane.  Manca, come si vede, il punto di domanda perché sarebbe come restare senza visione e senza prospettive mentre il tempo sta per scadere.

di Salvatore Avena

Nel 2023, il traffico si è attestato ancora una volta attorno a questi volumi: 11 milioni circa di TEU movimentati, di cui: 3,5 milioni di TEU destinati al trasbordo e 7 milioni di TEU di carico containerizzato in import-export.

E’ la conferma che per l’anno appena concluso il traffico di container nei porti italiani è stagnante ma anche e soprattutto che lo è da oltre un decennio.

Questo dato evidenzia come l’Italia non riesca a conquistare e a ritagliarsi un ruolo di hub del Sud Europa: rimane cioè un mercato domestico.

A questa immutabile realtà le parole d’ordine che fanno eco da oltre dieci anni sono, le ricordo:  Investimenti per potenziare le infrastrutture portuali; dragaggio dei fondali per consentire l’acceso di navi sempre più grandi; rete di collegamenti per il trasporto ferroviario e intermodale; sburocratizzazione: per semplificare le procedure amministrative e ridurre l’incertezza normativa per attrarre nuovi investimenti; digitalizzazione ed innovazione tecnologica per efficientare i processi operativi nei porti, nei trasporti e nel servizio documentatale collegato alla merce; sostenibilità con l’avvio di investimenti per la transizione ecologica per scali più “ambientalizzati”; e tanto altro …

Accanto all’elenco di questi buoni propositi, che in alcuni Porti, ad onore del vero, hanno anche trovato applicazione, si ripete per ogni governo che si succede la necessità di una riforma ritenuta essenziale per avviare politiche commerciali per contendere nuovi mercati.

È vero che il PNRR ha stanziato ingenti risorse per il potenziamento dei porti italiani. Si tratta di un’occasione importante per ammodernare le infrastrutture, aumentare la capacità di movimentazione delle merci e migliorare l’efficienza del sistema portuale. Accanto a questo si sommano anche rilevanti investimenti privati.

Tuttavia, va detto con chiarezza che forse tutto questo non basta per far crescere la portualità, la logistica italiana e attrarre nuovi traffici ai competitor europei!

Evidentemente c’è un vizio originario e funzionale se il dato inconfutabile è che, purtroppo come si è visto, da oltre dieci anni il traffico nei Porti Italiani invece di espandere il suo raggio di azione è e resta sempre più domestico, impegnato – questo è il risultato – a competere non con gli altri porti del Mediterraneo e del Nord Europa ma soprattutto fra i porti italiani.

Per questi motivi credo che sia arrivato il momento-limite nel quale tutto il cluster marittimo deve concentrarsi e interrogarsi proprio su questo dato, finalmente consapevole di essere chiamato a un salto di quantità connessa alla qualità che solo una risposta matura e condivisa, ma realmente concreta, può indicare al Paese quale potrà essere la strada migliore da seguire.

Per uscire finalmente dalla “gabbia” del mercato domestico tenendo conto di avere oggi una nuova opzione.

C’è infatti una domanda urgente alla quale rispondere: vogliamo sviluppare la nostra logistica e la nostra portualità per un mercato di riferimento a breve-medio raggio o vogliamo continuare con una politica portuale e logistica che pensa a competere con il Nord Europa e non coglie invece le opportunità crescenti offerte dagli hub del Mediterraneo?

E’ una sfida che sarà comunque necessario affrontare prima che sia troppo tardi e da affrontare con forza e determinazione!

Perché in definitiva, il futuro del traffico container nei porti italiani dipenderà molto proprio da come il nostro Paese vorrà e andrà a posizionarsi nei prossimi anni!

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