Dopo Ucraina, Medio Oriente, Suez e Panama, altra mazzata dallo sciopero nei porti Usa

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New York –  C’è chi ha chiamato tsunami, per gli effetti che provocherà negli Stati Uniti e nel mondo, con gravi riflessi sui trasporti in export e in import anche nel Mediterraneo, lo sciopero che si sta abbattendo sul sistema portuale della Costa Est e del Golfo.

Rotte le trattative è partita da ieri martedì 1° ottobre l’astensione dal lavoro dei dipendenti dei terminal aderenti al sindacato International Longshoremen’s Association (Ila) che hanno incrociato le braccia per uno sciopero a oltranza. Come detto lo sciopero avrà pesanti ripercussioni sul trasporto marittimo negli Usa che fa temere un effetto domino sui traffici mondiali.

“Lo shut down dei dockers della East Coast è un ulteriore elemento di destabilizzazione della filiera logistica – ha detto ieri Giampaolo Botta, direttore generale Spediporto – che dovrà essere affrontato dagli operatori, dopo l’Ucraina, la crisi di Suez e del Medio Oriente, quella di Panama”

Come cercare, dunque, di almeno arginare questo blocco che interessa 36 porti, i problemi all’orizzonte? La soluzione alternativa più gettonata, al momento, è quella relativa all’utilizzo dei porti della West Coast (o del Canada), ma gli operatori stanno puntando anche sul cargo aereo e su una più accurata gestione delle scorte per evitare interruzioni nella catena di approvvigionamento.

Ma la speranza – anche in costanza del voto per il nuovo presidente – è che la situazione possa trovare una rapida soluzione già nei prossimi giorni.

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