Incubo Mediterraneo: un nuovo stress per le catene logistiche e i trasporti

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Le catene logistiche hanno dato ampia prova di adattamento allo stress, prima con la pandemia, poco dopo con la guerra in Ucraina. Ora è il Mediterraneo a sottoporre a un test ad alto rischio anche i trasporti marittimi …

di Salvatore Avena

Nessuno lo avrebbe mai immaginato che nel giro di pochi anni sarebbero mutati tutti i paradigmi nei traffici merci globali, quelli che per decenni hanno consentito alle merci di viaggiare in tutto il mondo creando sostenute filiere produttive e conseguenti opportunità economiche per l’intero sistema mondiale.

La pandemia, come più volte ricordato, ha portato alla luce e diffuso fra l’opinione pubblica quanto sono strategiche ed essenziali per l’economia di un Paese i porti e la logistica.

E gli effetti post pandemici hanno determinato cambiamenti, peraltro ancora in atto, nella granitica supply chain degli ultimi decenni per cui oggi assistiamo a politiche industriali di reshoring e processi di deglobalizzazione delle catene di approvvigionamento.

Terminata la crisi sanitaria, si sono aperti i fronti di due guerre, quella in corso tra Russia e Ucraina e quella iniziata qualche giorno fa tra Israele e Hamas, il movimento militante islamico che governa nella Striscia di Gaza. Sono due conflitti al momento apparentemente regionali ma che tuttavia destabilizzano indirettamente i processi delle catene logistiche.

La prima, come noto, ha determinato instabilità economica in tutto il vecchio continente a cominciare dai problemi di approvvigionamento del gas; di contro le misure restrittive dell’UE contro gli invasori russi hanno creato forte insicurezze ed incertezze nei mercati con conseguenze su tutti i sistemi economici e produttivi.

Il secondo conflitto, per gli attori che sono in campo, provocherà conseguenze di instabilità in tutto il bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente. Il primo effetto economico, il giorno successivo all’attacco di Hamas, è stato il prezzo del petrolio con il Brent che ha aperto con un balzo del +6%.

Su queste rotte, inoltre, transita attraverso Suez circa il 20% dell’intero traffico merci mondiale, è, quindi, facile immaginare quanto possa essere rischioso per le catene di approvvigionamento trovarsi a dover affrontare dinamiche negative conseguenti al conflitto e costi di trasporto molto più elevati.

Non bisogna essere luminari per affermare che gli effetti del conflitto saranno anche di natura economica, quindi, sul valore dei prezzi delle merci importate ed esportate.

Quando si discute, nei media fra esperti di politiche internazionali, di regionalizzazione dei conflitti in un quadro geopolitico sempre più complesso, si auspica che non ci si trovi all’inizio di una escalation, e che quindi non siano coinvolte altre Nazioni. La regionalizzazione dei conflitti non ha e non avrà, tuttavia, lo stesso effetto sulle catene logistiche che, nella migliore delle ipotesi, saranno sottoposte, come detto, a maggiori costi, e nella peggiore dovranno rivedere, anche radicalmente, le proprie organizzazioni di filiera.

Tanto è vero che in poco meno di quattro anni si è dovuto rimettere in discussione l’intero sistema della logistica mondiale, un sistema che aveva garantito sostenuti flussi di merce tra i diversi Paesi e consolidato economie di scala. Un aspetto che, come si può anche solo intuire, merita un approccio ben più responsabile e un approfondimento che oggi, tuttavia, sembra ancora lontano dalle priorità.

Non si può, d’altronde, fare sempre affidamento sulle sole capacità delle catene logistiche che, come già accaduto, di aumentare la capacità di adattarsi ai sempre più caotici processi di cambiamento, anche perché in questo modo si rafforzano le politiche di integrazione verticale con i soliti rischi di oligopoli e sviluppi logistici meno performanti, sotto ogni punto di vista.

Ma c’è un altro, serio pericolo per tutto il bacino del Mediterraneo, che, col rischio di diventare una “polveriera”, metta in difficoltà i rapporti commerciali nell’ambito delle tradizionali filiere e soprattutto favorisca se non obblighi all’individuazione di rotte alternative per le catene di approvvigionamento.

Per cui è fondamentale e urgente un impegno nazionale ed europeo prima che sia troppo tardi.

Non sempre affidarsi alla sola resilienza è la soluzione migliore!

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